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“Riflessioni”

Pubblicato il: 11/03/2010 16:42:17 - e


Parecchi anni sono passati da quando i primi corsi per insegnare l’uso di quelle che si chiamavano allora le “nuove tecnologie” presero avvio dietro iniziativa di pochi pionieri. Il discorso ha ormai tante di quelle implicazioni che pare difficile enumerarle in un solo articolo. Vediamo di fare una panoramica che ci chiarisca le idee, almeno un po’.
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I maestri, quelli che ricordiamo dai tempi della nostra infanzia, quelli che ci sono mancati nell’educazione dei nostri figli, ci sono ancora. Ma sono umiliati e mortificati. Hanno lottato perché la scuola fosse più rispondente alle esigenze delle famiglie e degli studenti con orari spezzati e turni di lavoro sempre più faticosi; hanno diviso la loro cattedra con colleghi, hanno studiato l’uso delle tecnologie per riuscire a dialogare con i loro bambini, poi di nuovo si sono ritrovati soli e hanno dovuto mettersi a studiare anche l’inglese. E alla fine di un percorso pieno di ostacoli sono trattati da ignoranti e incapaci da genitori che considerano i loro figli più dotati e preparati dei docenti.

Dall’altra parte sentiamo dalle fonti più diverse psicologi, psichiatri e sociologi dare il loro illuminato parere sui ragazzi: non prendiamo per oro colato tutto quello che dicono persone, anche preparate nel loro campo, che non hanno mai messo piede in una classe. Si tratta perlopiù di persone con ottima preparazione teorica su fenomeni di gruppo, o concreta, ma basata su lavori effettuati con un solo individuo. Ora in classe intervengono fattori propri a un gruppo o dei gruppi, che non si ripetono in circostanze e situazioni diverse, ma che sono specifici di quel contesto, nel quale solo il Maestro può penetrare e porre rimedio se necessario.

E il ruolo delle tecnologie in tutto questo? Anche qui si diffondono le notizie più disparate e contraddittorie. Le scuole sono attrezzatissime di postazioni/computer, di collegamenti, wireless e non, con Internet. Qualcuno ci ha detto che i laboratori, dove esistono, sono frutto di progetti elaborati e realizzati da maestri e maestre che hanno lavorato ben oltre il loro orario di lezione? La situazione a livello nazionale non è semplice da decifrare e i fattori da tenere in considerazione sono diversissimi. Finché ci saranno, ed è un’utopia, un paio di laboratori in una scuola, saremo ancora al livello zero. Non si può trasferire nell’aula informatica intere classi, che interpretano il percorso come una scampagnata domenicale. Fino a quando non potremo dotarli di un computer personale o di un Ipad, la situazione caotica non avrà soluzioni concrete: nelle scuole primarie sarebbe già una conquista se i laboratori venissero utilizzati a turno, da tutte le classi.

E le lavagne interattive? Ci sono, ci dicono, ma dove sono? Non nelle classi: anche cinque lavagne per una scuola con venti classi o più non possono essere nelle aule, ma a disposizione degli insegnanti che le richiedono, ovviamente. E, in attesa di essere richieste, invecchiano negli sgabuzzini delle scope o in fondo a un laboratorio informatico. E poi, francamente, il fatto di avere le lavagne a scuola, non significa automaticamente che ci siano anche le competenze per usarle. Anche chi ha seguito i corsi previsti dal Ministero non necessariamente si aggiorna: il Docente ha una formazione rivolta al passato, per cui quanto acquisito è immutabile, al limite reinterpretabile, e quindi non concepisce che ci possano essere cambiamenti in quanto sa fare o comunicare. La tecnologia invece cambia e si trasforma a grande velocità. Le lavagne di oggi, come del resto software e hardware, sono diversi da quelli su e con cui hanno imparato a lavorare: che fare? Corsi ogni uno o due anni per aggiornarsi non sono nemmeno da prendere in considerazione. Né basta sapere cosa sono i blog o Facebook o Messenger: i ragazzi LI USANO e anche se ci aggiorniamo rimaniamo sempre indietro rispetto a loro.

Abbiamo cominciato parlando di maestri, e poi abbiamo allargato il discorso ai docenti della secondaria, di primo o secondo grado. E a questo livello il divario fra docente e discente diventa ancora più drammatico. Nei corsi di formazione che si sono tenuti anni fa ha colpito la disponibilità dei maestri a imparare e a costruire competenze e capacità di comunicazione. I docenti delle secondarie sono stati molto più restii. Chi ha preferito farsi mettere al corrente dai propri figli, chi da amici compiacenti, chi dai mariti più “tecnologici”. Riconoscere di NON SAPERE era per loro inconcepibile. Col risultato che ora è troppo tardi per imparare in modo creativo, la tecnologia non è più così abbordabile come poteva essere anche solo pochi anni fa.

E in attesa di tempi migliori, perché non fare appello alla didattica collaborativa, nella quale tutti e ciascuno danno il loro contributo personale e mettono a disposizione degli altri le loro competenze? Docenti e ragazzi.

Claudia Gaeta e Maria Vasile

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